Poesie (IT)

Un compendio di poesie originali scritte mentre dondolo sull’altalena della vita.

 

 

Benvenuto.

Se al buio si chiudesse
la tua porta,
mi fermerei sull’uscio
e la mano sanguinante.
Perché mille volte avrò bussato.

Non potrei sopportare il tappeto di “Benvenuto” che mi sarei riservata.

Cigola ora il chiavistello e io
ho brandelli in mano.
Iside è morta, ma tu ci sai fare.
Rimango seduta, rapita.
Stregata.

La testa colma di pensieri mai ordinari.
Le chiavi le butto nella gola della valle.
Tu aspetti all’uscio: la porta spalancata,
le bende, i cerotti e il disinfettante.

 

 

Ho Il Cane Nero

C’è questa bimba,
fa la spola sul balcone.
Ha un cucchiaio rosso in mano,
all’alba:
stelle per colazione.
C’è un cancello
che cigola
la notte,
guaisce una bestia
alla luce della luna.

Non riesco ad aprire questa porta e uscire.
Ho il mio cane nero
e il mio guinzaglio è troppo stretto.
Si è assopito sulla pancia e non vuole scendere giù.
Vorrei bere per non sapere,
ma poi so che starei male ancor di più.

Il corpo vomita,
la mente vorrebbe scappare.
E allora io io io
io sto lì ad annegare.
Vorrei tagliare questa carne che non mi appartiene.
Vorrei sparire nella sabbia e andare
con le onde nuotare nuotare nuotare.
Aspetti solo che mi lasci morire.

Ho il cane nero,
il mio guinzaglio è troppo stretto.
Aspetta un attimo,
ora ci provo,
se arrivo me lo allento.
Si è assopito sulla pancia e non vuole scendere giù:
vorrei bere per non sapere,
ma poi so che starei male ancor di più.

Ho il cane nero,
impara ad aspettare:
c’è un’intera fila
di quelli che si vogliono far amare.
C’è chi ha l’elefante nero
e io sto qui,
sto qui ad abbaiare.

 

 

Non Ho Mai Avuto Così Tanti Sogni.

Non ho mai avuto così tanti sogni.
Non ne ho mai avuti.
Non così tanti.

Poi sono giunti.
I Venti me li hanno cantati dai monti,
per le anguste vie una Vecchina
con l’indice tremante di Parkinson
me li ha letti sul palmo della mano.
O forse nei pozzi degli occhi.

Ho fame di Mondo.
Dello schifo che ci sta dentro
a pennello.
Io sono nello sfondo del
quadro immondo.
L’Artista è morto, gli abbiamo tutti
sparato alla tempia.
Ma non mi è mai importato,
né mai mi importerà.

Sono traboccante: schifosamente
rimpinguata di sogni.
Sono il tacchino del ringraziamento
con il ripieno di nocciole.
Opulento ed allettante.
Se mangi un mio boccone,
ti resto sullo stomaco.
Capita.

Sono affamata di cose.
Cose vaghe e indefinite.
Cose disegnate con il
fumo impalpabile dei miei
pneumatici fortunati.

Sono senza fondo
per la mia Ricerca.
Gente che va’ e che viene.
Io che busso alla porta o al muro,
ma la mia vecchia adorata,
sorda,
non risponde,
e c’è buio attorno.
Io che tendo la mano
verso una spalla notturna,
E riconosco un bastione per schiena.
La lingua, un ponte levatoio.

Ma io, io vorrei giungere Là.
Perché ho fame anche di Quello.
Di un sereno torpore.
Ma tu, tu sei solo capace di strappare gli angeli come toppe
dalla giubba del cielo.
Sei capace di spezzare l’animo.

E io sono rotta dentro.
Ho fame.
Fame del tempo.
Scorre e io l’ho già perso.
E le cose belle del passato
le ha trascinate via la
risacca sulla battigia.

E io aspetto.
Aspetto.
Il galeone in lontananza,
Mentre con i piedi affondo in una
terra brulla di pietre aguzze.

 

 

Ho Immaginato Molte Volte.

Ho immaginato molte volte
come sarebbe avere una famiglia
tutta mia.
Arrosto della domenica,
vacanze al mare,
bambini, casa, cane:
cose così.

Insomma, non sono immune
al fascino
di vite perfette
uscite da palle di vetro.
Di quelle che se scuoti
pare quasi nevichi
fitto fitto.

Chi si dice
immune
a questa piccola forma
di paradiso,
non mente tanto a te,
quanto
a sé stesso.

Poi ognuno ha la sua versione.

Nei miei sogni,
io accarezzo
volti di figli che non ho
e abbraccio
un marito che non esiste.
Non
me ne vergogno.

La mia, infatti,
non è un’impellenza ovarica
al fine di procreare,
ma è più una necessità
di vedere me stessa
da qualche parte,
un giorno.

Un punto indefinito,
ma certo,
in cui le Leggende narrano di
realizzazione,
maturità,
crescita
e felicità.

Che c’è, ti sembro pazza?

Non hai mai sognato
di essere grande,
adulto,
e di avere capito che
la tua vita è
una tazza di caffè
che ti scotta la lingua?

Che la tua vita
è un capriccio
di un bambino
che non vuole mangiare
il suo pranzo
o bere il suo latte
al risveglio?

O di uno
che non vuole dormire
nella sua culla
finché non hai cantato
tre volte
una canzone
di eroi e di cavalli alati?

Non hai mai sognato
quella stranezza
di pensare di avere tutto
così sotto controllo
nella tua vita,
da potertela incasinare
creandone un’altra?

Come se ti sfidassi
ad essere adulto,
perché capisci che sai finalmente
dare agli altri
e non solo a te stesso.
In un infinito gesto di amore
e di lusinga personale.